INTERVISTA A JULIUS EVOLA

LE INTERVISTE DI “ARTHOS”: JULIUS EVOLA.
Estrat­to da “Arthos” (Pagi­ne di testi­mo­nian­za tra­di­zio­na­le).
N° 1 del set./dic. 1972.
Ora del­le Edi­zio­ni Arŷa, Genova.

D. Anche la gran­de stam­pa è qual­che vol­ta costret­ta ad occu­par­si di Lei. Per­ché qua­si sem­pre aggiun­ge al Suo nome l’epiteto di “raz­zi­sta”, quan­do non addi­rit­tu­ra di “nazi­sta”?

R. Perché è como­do ser­vir­si di eti­chet­te più o meno gros­so­la­ne inve­ce di infor­mar­si ade­gua­ta­men­te. Per l’epiteto di “raz­zi­sta” si dovreb­be tener pre­sen­te la mia par­ti­co­la­re con­ce­zio­ne del­la raz­za; per l’epiteto “nazi­sta” biso­gne­reb­be tener pre­sen­te la cri­ti­ca da me fat­ta al Ter­zo Reich nell’appendice dell’ultima edi­zio­ne del mio sag­gio “Il fasci­smo dal pun­to di vista del­la Destra”, ove non fac­cio miste­ri del­la mia anti­pa­tia per l’hitlerismo.

D. Può dir­ci in sin­te­si come con­si­de­ra il cosid­det­to “fasci­smo” di cui tan­to par­la la gran­de stam­pa e che cosa inve­ce è sta­to il fasci­smo storico?

R. “Fasci­smo” oggi è un epi­te­to dispre­gia­ti­vo, usa­to anche come spau­rac­chio, appli­ca­to a tut­to ciò che si oppo­ne a demo­cra­zia asso­lu­ta, a mar­xi­smo e comu­ni­smo. Cir­ca il fasci­smo sto­ri­co, una ana­li­si dei suoi con­te­nu­ti è pre­sen­te nel mio libro già citato.

D. Qua­le tipo di monar­chia sareb­be neces­sa­ria ad uno sta­to tra­di­zio­na­le? Ed inol­tre, qua­li sono i rap­por­ti che si pos­so­no sta­bi­li­re fra la Tra­di­zio­ne ed il cattolicesimo?

R. Limi­ta­ta­men­te ad un’epoca come quel­la moder­na, si potreb­be far rife­ri­men­to ad una “monar­chia costi­tu­zio­na­le auto­ri­ta­ria”, come quel­la esi­sti­ta in Ger­ma­nia ai tem­pi di Bismark.

Il cat­to­li­ce­si­mo è una del­le for­me del­la Tra­di­zio­ne, anche se non del­le più com­ple­te e di un tipo supe­rio­re. Ho avu­to da scri­ve­re: “Esse­re tra­di­zio­na­li­sti per esse­re cat­to­li­ci, è un esse­re tra­di­zio­na­li­sti a metà”.

D. Mol­te per­so­ne, dopo aver let­to le Sue ope­re, non si sen­to­no più appa­ga­te dal­la reli­gio­ne cat­to­li­ca. Può dire chi o che cosa pos­so­no garan­ti­re loro di esse­re dal­la par­te del­la veri­tà? E inol­tre, qua­le nor­ma di vita deb­ba­no seguire?

R. Per un gran­de nume­ro, esse­re alme­no cat­to­li­ci è già qual­co­sa (a pat­to che con­dan­ni­no i cedi­men­ti dell’attuale cat­to­li­ce­si­mo). Per chi non si sod­di­sfa di ciò che in gene­re è una “reli­gio­ne” (inclu­so il cat­to­li­ce­si­mo), resta­no da bat­te­re le vie, caden­ti fuo­ri da qua­dri isti­tu­zio­na­li posi­ti­vi, dell’autorealizzazione, con­si­de­ra­te però da altre, più com­ple­te tra­di­zio­ni, pos­si­bi­li solo per una mino­ran­za, e da me indi­ca­te in vari libri. Ma pri­ma ognu­no deve sag­gia­re le pro­prie pos­si­bi­li­tà e la pro­pria qua­li­fi­ca­zio­ne, e bada­re che egli non sia vit­ti­ma del­la presunzione.

D. L’idealismo gio­va­ni­le di mol­ti si limi­ta ai pro­ble­mi socia­li. Nel mon­do moder­no le ingiu­sti­zie deri­va­te dall’economia sem­bra­no dav­ve­ro tan­te. Può espri­me­re la Sua opi­nio­ne in proposito?

R. Le “ingiu­sti­zie socia­li” sono un abu­sa­to slo­gan. In ogni socie­tà vi sono del­le “ingiu­sti­zie”, quel­le basa­te sull’economia sono depre­ca­bi­li, ma non deb­bo­no ser­vi­re di pre­te­sto alla sov­ver­sio­ne, che fa di ogni erba un fascio. Ad esem­pio, le posi­zio­ni di pri­vi­le­gio dovu­te ad un capi­ta­li­smo non paras­si­ta­rio (finan­zia­rio), ma impren­di­to­ria­le e atti­vo, sono da rispettarsi.

D. Tra­di­zio­ne e Destra pos­so­no esse­re con­si­de­ra­te la stes­sa cosa? Ed inol­tre, si può par­la­re di una “destra economica”?

R. Per dare alla vera Destra un con­te­nu­to posi­ti­vo, è neces­sa­rio far rife­ri­men­to alla Tra­di­zio­ne (vedi il mio scrit­to in pro­po­si­to nel nume­ro di mag­gio del­la rivi­sta La Destra). La Destra come clas­se eco­no­mi­ca non ci inte­res­sa, essa offre uti­li appi­gli al clas­si­smo marxista.

D. Come deve com­por­tar­si allo­ra chi oggi vuo­le testi­mo­nia­re la Tra­di­zio­ne con un impe­gno politico?

R. È dif­fi­ci­le dir­lo, se que­sto impe­gno deve espli­car­si nei qua­dri di uno dei rag­grup­pa­men­ti poli­ti­ci esi­sten­ti, nes­su­no di essi aven­do un carat­te­re inte­gral­men­te tra­di­zio­na­le. Comun­que, un sim­pa­tiz­za­re con quel­la che oggi si è chia­ma­ta la Destra Nazio­na­le è appro­va­bi­le; un com­pi­to sareb­be arric­chir­la e poten­ziar­la per quel che riguar­da i suoi idea­li e le sue fina­li­tà, ele­van­do­ne il livello.

D. Alcu­ni ambien­ti di ispi­ra­zio­ne spi­ri­tua­li­sta accu­sa­no Lei di ave­re scrit­to col “Cam­mi­no del Cina­bro” un’opera mera­men­te auto­bio­gra­fi­ca, il che sareb­be secon­do loro incom­pa­ti­bi­le con l’atteggiamento di un vero Mae­stro, la divi­sa del qua­le dovreb­be esse­re: “Chi vede me, vede la Dot­tri­na, e vice­ver­sa”. In qua­li ter­mi­ni potreb­be rispon­de­re loro?

R. Quell’“accu­sa” è del tut­to pri­va di fon­da­men­to. Il Cam­mi­no del Cina­bro non è un’opera “mera­men­te” auto­bio­gra­fi­ca, ma essen­zial­men­te la descri­zio­ne del­la gene­si dei miei vari libri (in tede­sco si direb­be: Entst­chung­sge­schi­ch­te), nel­la qua­le i rife­ri­men­ti per­so­na­li sono ridot­ti al mini­mo indi­spen­sa­bi­le. Il “vero Mae­stro” lo si può lascia­re da par­te. Mai mi sono pre­sentato come un “Mae­stro”.

D. Gli stes­si ambien­ti par­la­no di un atteg­gia­men­to erra­to riguar­do alla Sua con­ce­zio­ne dell’ “Indi­vi­duo asso­lu­to” e dell’“esaltazione del­la poten­za”, adde­bi­tan­do­le una sor­ta di tita­ni­smo gon­fio d’orgoglio, men­tre, a loro pare­re, si trat­te­reb­be di segui­re la via oppo­sta: quel­la cioè di “can­cel­la­re le pro­prie trac­ce”, ovve­ro­sia di annul­lar­si nel Dìo che tut­to vede e con­ce­de, in un fidu­cio­so abban­do­no di misti­ca reli­gio­si­tà. Che ne pen­sa in merito?

R. Biso­gna distin­gue­re due livel­li ben diver­si. L’uno è quel­lo filo­so­fi­co: qui rien­tra la teo­ria dell’individuo asso­lu­to, che è l’ultimo svi­lup­po del cosid­det­to “idea­li­smo asso­lu­to”; essa non è mai sta­ta pre­sen­ta­ta come una “via”, ma appun­to come una con­ce­zio­ne filo­so­fi­ca. Quan­to alla “teo­ria del­la poten­za”, i suoi limi­ti sono sta­ti da me posti in varie occa­sio­ni, per esem­pio nel­la con­clu­sio­ne dell’ultima edi­zio­ne del­lo “Yoga del­la Poten­za” — ricor­dan­do che la Cak­ti (= la Poten­za) ha o deve ave­re per cor­re­la­ti­vo Çiva (= l’Essere). La reli­gio­si­tà “misti­ca” non ha a che fare con la via ini­zia­ti­ca e meta­fi­si­ca. Si può con­dan­na­re ogni orgo­glio e con­si­de­ra­re una disci­pli­na di auto-annul­la­men­to (nei riguar­di dell’Io empi­ri­co) sen­za per que­sto fini­re nel misti­ci­smo e dover segui­re la “via del­la devo­zio­ne”, che si con­fà solo a cer­te natu­re e a cui mai è sta­ta rico­no­sciu­ta una preminenza.

D. Spes­so nel­le Sue ope­re si par­la di feno­me­ni di tra­scen­den­za indi­vi­dua­le o di auto-ini­zia­zio­ne. Potreb­be chia­ri­re que­sti concetti?

R. Non si vede bene a che si rife­ri­sca la doman­da. Ho spes­so indi­ca­to come un assur­do l’“auto-iniziazione” (per esem­pio con­tro l’antroposofia) pur facen­do del­le riser­ve alla teo­ria del Gué­non (vedi “Limi­ti del­la rego­la­ri­tà ini­zia­ti­ca”, in “Intro­du­zio­ne alla Magia”). Del­la “tra­scen­den­za” ho par­la­to soprat­tut­to nei ter­mi­ni di un orien­ta­men­to esi­sten­zia­le, non di “feno­me­ni” – o in sen­so rela­ti­vo (come in “Meta­fi­si­ca del ses­so”).

D. È la pre­sen­te l’epoca ulti­ma, la not­te oscu­ra del Kali-Yuga. All’avvicinarsi del­la cata­stro­fe fina­le e di fron­te all’accelerarsi del rit­mo del­la cri­si del mon­do moder­no, qua­li, a Suo pare­re, dovreb­be­ro esse­re le diret­ti­ve essen­zia­li di un Ordi­ne di cre­den­ti che inten­da man­te­ne­re viva l’idea tra­di­zio­na­le e tra­smet­ter­la a colo­ro che vedran­no la fine del pre­sen­te ciclo?

R. Lascia­mo da par­te l’“Ordine” e i “cre­den­ti” (!!). Si trat­ta sem­pli­ce­men­te di man­te­ne­re la testi­mo­nian­za del­la visio­ne tra­di­zio­na­le del­la vita e del­la sto­ria di con­tro al pen­sie­ro moder­no e alla cul­tu­ra pro­fa­na, come più o meno noi fac­cia­mo. Non dram­ma­tiz­zia­mo trop­po par­lan­do di “cata­stro­fi” e simi­li e di com­pi­ti “post-dilu­via­li”.

D. “Arthos” inten­de favo­ri­re nei gio­va­ni che la leg­ge­ran­no lo svi­lup­po di sport suscet­ti­bi­li di ori­gi­na­re un risve­glio inte­rio­re. Fra que­sti, in pri­mo luo­go si trat­ta di una sana pra­ti­ca dell’alpinismo. Potreb­be indi­ca­re Lei, che in que­sto cam­po ha una vastis­si­ma espe­rien­za, pro­fu­sa anche in mol­ti scrit­ti oggi poco noti, indi­car­ci qua­le dovreb­be esse­re l’atteggiamento spi­ri­tua­le nei con­fron­ti del­lo sport in gene­re e del­la mon­ta­gna in par­ti­co­la­re di un gio­va­ne che inten­da rima­ne­re fede­le ai prin­ci­pi del­la Tradizione?

R. Non fac­cia­mo entra­re dovun­que in bal­lo i “prin­ci­pi del­la Tra­di­zio­ne”. Non è tan­to il caso di par­la­re di “svi­lup­pi di uno sport suscet­ti­bi­li di ori­gi­na­re un risve­glio inte­rio­re”, ma, all’opposto, di giun­ge­re ad un risve­glio inte­rio­re come pre­mes­sa per dare a degli sport una dimen­sio­ne e un con­te­nu­to supe­rio­ri. In gene­re, potreb­be entra­re in que­stio­ne l’orientamento ver­so la tra­scen­den­za di cui è già fat­to cen­no nel cor­so dell’intervista. Pur­trop­po da noi man­ca­no i qua­dri e i pre­sup­po­sti per qual­co­sa di simi­le alla pra­ti­ca – per esem­pio – del­le “arti mar­zia­li” in Giap­po­ne (cfr. “Lo Zen nel tiro dell’arco”). Nell’alpinismo i due gran­di peri­co­li sono la tec­ni­ciz­za­zio­ne e la rou­ti­ne (par­lo per esperienza).