LE “PRIMAVERE SACRE” E L’“OMBELICO D’ITALIA”

di RENATO DEL PONTE.

Estrat­to da “Dèi e miti Ita­li­ci” .
Edi­zio­ni Arŷa, Geno­va 2020. 

Ci sia­mo sof­fer­ma­ti a lun­go sul­la fun­zio­ne sote­rio­lo­gia degli ani­ma­li nel­le tra­di­zio­ni di mol­ti popo­li, per giun­ge­re ora all’argomento che più d’appresso ci inte­res­sa: quel­lo del­la pre­sen­za del feno­me­no e, sot­to­li­neia­mo subi­to, del­la sua pecu­lia­ri­tà pres­so gli Ita­li­ci. E la sua pecu­lia­ri­tà, nono­stan­te le opi­nio­ni in con­tra­rio di alcu­ni illu­stri stu­dio­si, è data dall’essere asso­cia­to ai veria sacra, le “pri­ma­ve­re sacre”, di cui ora ver­re­mo a par­la­re: una mani­fe­sta­zio­ne pret­ta­men­te italica.

Era il ver sacrum un rito anti­chis­si­mo, che cer­ta­men­te tro­va­va la pro­pria ori­gi­ne “ideo­lo­gi­ca” nel­la più alta pre­i­sto­ria e nel­le vicen­de del­le migra­zio­ni di popo­li noma­di cacciatori.

Il feno­me­no, a ben vede­re, si col­le­ga però ai pri­mi inse­dia­men­ti sta­bi­li e segna, in un cer­to sen­so, pro­prio una ripre­sa dell’idea pri­me­va, cioè un ritor­no ad una con­di­zio­ne semi-noma­de, che carat­te­riz­za, secon­do il Gué­non, quei popo­li rima­sti più vici­ni alle origini.

Il Devo­to ha potu­to par­la­re di “pri­ma­ve­re sacre” già per la civil­tà del­le ter­ra­ma­re del­la Pada­nia, col­le­gan­do le mani­fe­sta­zio­ni suc­ces­si­ve nell’Italia cen­tra­le, di cui esi­ste testi­mo­nian­za, come appar­te­nen­ti “anco­ra alla pre­i­sto­ria poli­ti­ca d’Italia”.

Rap­pre­sen­ta­va il ver sacrum un’antica con­sa­cra­zio­ne agli dèi di tut­to quan­to di “ani­ma­to” (ani­ma­lia) doves­se nasce­re nel­la pri­ma­ve­ra suc­ces­si­va: ani­ma­li, quin­di, o fan­ciul­li. E a que­sto pro­po­si­to mol­tis­si­mi auto­ri moder­ni (se pur non man­ca­no note­vo­li ecce­zio­ni), anche sul­la scor­ta di illa­zio­ni di alcu­ni anti­chi, han­no potu­to par­la­re di “resi­duo di sacri­fi­ci uma­ni”: ma si trat­ta appun­to di illa­zio­ni, poi­ché non ne esi­ste affat­to la pro­va docu­men­ta­ria. Affer­ma Festo: “Ver sacrum voven­di mos fuit Ita­lis. Magnis enim peri­cu­lis adduc­ti vove­bant, quae­cum­que pro­xi­mo vere nata essent apud se ani­ma­lia immo­la­tu­ros. Sed cum cru­de­le vide­re­tur pue­ros ac puel­las inno­cen­tes inter­fi­ce­re, per­duc­tos in adul­tam aeta­tem vela­bant atque ita extra fines suos exi­ge­bant”.

Il ver sacrum vie­ne cioè defi­ni­to “costu­me ita­li­co” e si dice che in con­di­zio­ni di gra­ve neces­si­tà veni­va fat­to voto dei nati nel­la pri­ma­ve­ra soprav­ve­nien­te: un voto è un’offerta, cioè la con­sa­cra­zio­ne di tut­ta una gene­ra­zio­ne o “clas­se d’età”, la più gio­va­ne, ad un dio. Il fat­to che i gio­va­ni e le ver­gi­ni con­sa­cra­ti venis­se­ro con­dot­ti intor­no ai vent’anni d’età (in adul­tam aeta­tem) con il capo vela­to oltre i con­fi­ni del­la comu­ni­tà, ci indi­ca la loro par­ti­co­la­re con­di­zio­ne di sacra­ti, cioè “invio­la­bi­li”: il dio stes­so veglie­rà sul­la loro sor­te, così come nell’antica legi­sla­zio­ne roma­na (leges sacra­tae) gli dèi stes­si sareb­be­ro inter­ve­nu­ti come ven­di­ca­to­ri di ogni vio­la­zio­ne del diritto.

La ceri­mo­nia riguar­da­va le sin­go­le comu­ni­tà nel loro com­ples­so, cioè la tri­bù o l’intero popo­lo, così come le enti­tà sta­ta­li for­ma­te­si sem­pre più com­piu­ta­men­te nel tem­po. Ma il feno­me­no migra­to­rio dovet­te riguar­da­re solo poche cen­ti­na­ia, se non deci­ne di indi­vi­dui per vol­ta: se però il loro sin­go­lo nume­ro non era rile­van­te, pote­va diven­ta­re deter­mi­nan­te al popo­la­men­to in mas­sa di teni­to­ri vastis­si­mi, se le sin­go­le migra­zio­ni si fos­se­ro som­ma­te in gran nume­ro sul­la stes­sa diret­tri­ce in un arco di tem­po non amplissimo.

Così si popo­lò una buo­na par­te dell’Italia penin­su­la­re, secon­do una dire­zio­ne che, asse­con­dan­do la linea del­la dor­sa­le appen­ni­ni­ca, por­tò il movi­men­to migra­to­rio degli Ita­li­ci, ini­zia­to­si in pie­na fase d’età del bron­zo, sino alle estre­me pro­pag­gi­ni meri­dio­na­li del­la peni­so­la, in pie­na epo­ca storica.

Scia­ma­va dun­que la juven­tus ita­li­ca via dal­la ter­ra d’origine alla ricer­ca di nuo­ve sedi lun­go per­cor­si acci­den­ta­ti e sil­va­ni gui­da­ta dal pro­prio dio sot­to for­ma ani­ma­le: infat­ti, chi meglio degli ami­ci ani­ma­li, vagan­ti libe­ra­men­te per il mon­do in lun­go e in lar­go, sareb­be sta­to in gra­do di con­dur­li a sal­va­men­to tra fore­ste tene­bro­se e mon­ta­gne inaccessibili?

E il ver sacrum, sot­to la gui­da e le inse­gne di un ani­ma­le gui­da, ebbe il pro­prio cen­tro sacra­le di irra­dia­zio­ne pres­so il lago mira­co­lo­so di Coti­lia, con­te­nen­te un’isoletta natan­te: era quel­lo un luo­go som­ma­men­te vene­ra­bi­le, con­si­de­ra­to 1’“ombe­li­co d’Italia”. Scri­ve Dio­ni­sio di Ali­car­nas­so: “Anco­ra a par­ti­re da Rie­ti, per chi pro­ce­de lun­go la via Cala­ti­na, dopo tren­ta sta­di si tro­va Batia e, dopo tre­cen­to, Tio­ra, det­ta ora Matie­ne. In que­sta cit­tà si dice che esi­stes­se un ora­co­lo di Mar­te mol­to anti­co, le cui carat­te­ri­sti­che era­no, sem­pre secon­do quan­to nar­ra la tra­di­zio­ne, assai pros­si­me a quel­le che, secon­do le trat­ta­zio­ni miti­che, ave­va un tem­po l’oracolo di Dodo­na, tran­ne che per un par­ti­co­la­re: si dice infat­ti che nell’oracolo di Dodo­na vati­ci­nas­se una colom­ba, appol­la­ia­ta su una quer­cia sacra, men­tre in quel­lo degli Abo­ri­ge­ni lo stes­so ser­vi­zio era reso da un uccel­lo, invia­to dal­la divi­ni­tà, che loro chia­ma­va­no picus e i Gre­ci inve­ce dry­ko­lap­tes, che si mani­fe­sta­va su una colon­na lignea. (…) A set­tan­ta sta­di da Rie­ti, pres­so un mon­te, si tro­va la famo­sa cit­tà di Coti­lia, non lon­ta­no dal­la qua­le vi è uno spec­chio acqueo aven­te quat­tro iuge­ri di dia­me­tro, ali­men­ta­to da lin­fe deri­van­ti da una sor­gi­va auto­no­ma, di flus­so peren­ne e, come si dice, di pro­fon­di­tà enor­me. Gli abi­tan­ti del luo­go attri­bui­sco­no al lago pre­ro­ga­ti­ve divi­ne e lo riguar­da­no come sacro alla Vit­to­ria e ne garan­ti­sco­no l’inaccessibilità, recin­tan­do­lo con paliz­za­te, affin­ché nes­su­no si acco­sti alla sor­gi­va, tran­ne che in deter­mi­na­ti perio­di del­l’an­no nei qua­li colo­ro cui com­pe­te que­sta digni­tà sacra­le sal­go­no sull’isoletta che si tro­va nel lago e com­pio­no i sacri­fi­ci pre­scrit­ti dal­la leg­ge. (…) gal­leg­gia len­ta­men­te ver­so qua­lun­que dire­zio­ne, vie­ne così sospin­ta dal ven­to ora ver­so una zona, ora ver­so un’altra del­lo spec­chio acqueo. Su que­sta iso­let­ta cre­sce un’erba simi­le al buto­mo e cer­ti albe­ri di fusto non gran­de; spet­ta­co­lo supe­rio­re ad ogni descri­zio­ne per chi non è abi­tua­to a con­tem­pla­re le ope­re del­la natu­ra e non infe­rio­re ad alcu­na altra mera­vi­glia”.

Si è discus­so dagli stu­dio­si sul­la esat­ta posi­zio­ne geo­gra­fi­ca dell’antico lago di Coti­lia e la que­stio­ne è oggi anco­ra aper­ta: fat­to sta che que­sta area geo­gra­fi­ca cor­ri­spon­de effet­ti­va­men­te al cen­tro esat­to dellIta­lia, e che la tra­di­zio­ne più anti­ca, rap­pre­sen­ta­ta da Cato­ne, con­si­de­ra pro­prio il ter­ri­to­rio intor­no al sacro lago di Coti­lia come il cen­tro di dif­fu­sio­ne del­le popo­la­zio­ni ita­li­che, le qua­li avreb­be­ro peral­tro avu­to la loro cul­la (qui ci si rife­ri­sce ai Sabi­ni) nel vil­lag­gio di Testrua pres­so Ami­ter­no, a nord-ove­st del­la moder­na Aqui­la. Affer­ma il Devo­to: “Il carat­te­re sacro del luo­go, l’affermazione dell’importanza del­la vici­na cit­tà di Coti­lia come cen­tro degli Abo­ri­ge­ni, ren­do­no sicu­ro il fat­to che gran par­te del­le popo­la­zio­ni ita­li­che che si sono dif­fu­se dall’Abruzzo sono nate da veria sacra ordi­na­ti in que­sto cen­tro d’Italia”.


Ora, come già si è avu­to modo di vede­re nel capi­to­lo pre­ce­den­te, pro­prio a Coti­lia l’antichissimo ora­co­lo di Dodo­na in Epi­ro pre­scri­ve di anda­re, nel­la sicu­la ter­ra con­sa­cra­ta a Satur­no: “Anda­te in cer­ca del­la ter­ra Satur­nia dei Sicu­li e degli Abo­ri­ge­ni, Coti­lia, ove gal­leg­gia un’isola”.

A Coti­lia i Pela­sgi si sareb­be­ro poi uni­ti agli Abo­ri­ge­ni, onde cac­cia­re, nel cor­so di una pri­ma­ve­ra sacra, i Sicu­li e i Ligu­ri dai luo­ghi del­la futu­ra Roma, cioè da Satur­nia, dal col­le che poi sarà chia­ma­to Capitolino.

Sen­za sof­fer­mar­ci ulte­rior­men­te sul­la com­ples­sa que­stio­ne dell’origine del ter­mi­ne Abo­ri­ge­ni, il fat­to che pro­prio ad essi venis­se attri­bui­to que­sto pri­mo ver sacrum e che Festo li iden­ti­fi­cas­se coi Sacra­ni (“con­sa­cra­ti in un ver sacrum”), ossia con le schie­re che scia­ma­va­no dal­la Sabi­na ad ogni ver sacrum, i rife­ri­men­ti di Dio­ni­sio all’oracolo di Mar­te vati­ci­na­to da un pic­chio, tut­to c’induce a col­lo­car­li fra quei pri­mi­ti­vi stuo­li ita­li­ci che sareb­be­ro giun­ti nel Lazio seguen­do la via loro trac­cia­ta dal sacro pic­chio pro­tet­to­re del­la stirpe.

Ser­vio, peral­tro, iden­ti­fi­ca­va i Sacra­ni con gli Ardea­ti, i qua­li avreb­be­ro trat­to la loro ori­gi­ne da un ver sacrum al segui­to dell’uccello ardea (“airo­ne”).