RAFFIGURAZIONE ANTICA DELL’URBS ROMA COME CITTÀ DEGLI DÈI

di FRANCESCO SINI.

Estrat­to da “Hic Mane­bi­mus Opti­me”.
Tito Livio Pata­vi­no (Appen­di­ce II ).
Edi­zio­ni Arŷa Geno­va 2015.

L’urbs sacra­liz­za­ta dall’inaugurazione del pome­rio, e dun­que auspi­ca­to inau­gu­ra­to­que con­di­ta, vive­va affi­dan­do­si alla tute­la con i suoi dèi; pro­spe­ra­va acco­glien­do fin dall’età arcai­ca sem­pre nuo­vi dèi, sia median­te ricor­so ai sacra pere­gri­na, sia che si trat­tas­se di evo­ca­tio­nes del­le divi­ni­tà dei nemici. 

Nei libri ab urbe con­di­ta di Tito Livio tra­spa­re più vol­te la con­vin­zio­ne che la sto­ria dei Roma­ni costi­tuis­se la pro­va incon­fu­ta­bi­le di come nel­le vicen­de uma­ne “omnia pro­spe­ra eve­nis­se sequen­ti­bus deos”: per lo sto­ri­co la pie­tas e la fides ave­va­no costi­tui­to (e costi­tui­va­no) gli ele­men­ti essen­zia­li per la legit­ti­ma­zio­ne divi­na dell’impe­rium dei Roma­ni; gli dèi si era­no mostra­ti, in ogni cir­co­stan­za, più ben dispo­sti ver­so colo­ro i qua­li ave­va­no osser­va­to la pie­tas ed ono­ra­to la fides.

Per com­pren­de­re la pecu­lia­ri­tà reli­gio­sa del­la urbs Roma, a mio avvi­so, risul­ta di estre­ma impor­tan­za il pas­so di Tito Livio 5.21.1–3: Liv. 5.52.1–3: Haec cul­ti neglec­ti­que numi­nis tan­ta monu­men­ta in rebus huma­nis cer­nen­tes ecquid sen­ti­tis, Qui­ri­tes, quan­tum vix­dum e nau­fra­giis prio­ris cul­pae cla­di­sque emer­gen­tes pare­mus nefas? Urbem auspi­ca­to inau­gu­ra­to­que con­di­tam habe­mus; nul­lus locus in ea non reli­gio­num deo­rum­que est ple­nus; sacri­fi­ciis sol­lem­ni­bus non dies magis sta­ti quam loca sunt in qui­bus fiant. Hos omnes deos publi­cos pri­va­to­sque, Qui­ri­tes, deser­tu­ri estis? 

Nel testo livia­no si teo­riz­za — seguen­do la dot­tri­na teo­lo­gi­ca e giu­ri­di­ca dei sacer­do­ti roma­ni — l’esistenza di un lega­me impre­scin­di­bi­le tra dèi e luo­ghi depu­ta­ti al loro cul­to; di tale lega­me pro­prio la urbs Roma costi­tui­sce il caso più signi­fi­ca­ti­vo, in ragio­ne dei riti pri­mor­dia­li del­la fon­da­zio­ne del­la cit­tà (urbs augu­ra­to inau­gu­ra­to­que con­di­ta).

In que­sto testo, rela­ti­vo alla nar­ra­zio­ne degli even­ti appe­na suc­ces­si­vi alla distru­zio­ne dell’Urbe ad ope­ra dei Cel­ti, il gran­de anna­li­sta, con un discor­so attri­bui­to a Furio Camil­lo, ha volu­to carat­te­riz­za­re la cit­tà di Roma, pro­prio in ragio­ne dei suoi ini­tia (cioè dei riti del­la sua fon­da­zio­ne), come lo spa­zio ter­re­stre mas­si­ma­men­te vota­to alla reli­gio­ne (“Abbia­mo una cit­tà fon­da­ta con rego­la­ri auspi­ci e augu­rii, dove non vi è luo­go che non sia pie­no di cose sacre e di dèi”).

La valen­za reli­gio­sa di que­sto testo livia­no era sta­ta già col­ta assai bene da Huguet­te Fugier nel suo libro dedi­ca­to all’espressione del sacro nel­la lin­gua latina. 

Del resto il testo di Livio è mol­to espli­ci­to: con buo­ne argo­men­ta­zio­ni, tut­te svol­te sul filo del­la teo­lo­gia e del­lo ius sacrum, Camil­lo soste­ne­va che il popo­lo roma­no sareb­be peri­to qua­lo­ra aves­se abban­do­na­to il sito dell’Urbs Roma, dove peral­tro “nul­lus locus in ea non reli­gio­num deo­rum­que est ple­nus”; cioè l’unico luo­go che ave­va deter­mi­na­to (al momen­to degli ini­tia Urbis) e pote­va assi­cu­ra­re (nel tem­po) l’identità reli­gio­sa e giu­ri­di­ca del popo­lo roma­no, in quan­to fon­da­to da Romo­lo con un atto inau­gu­ra­le seguen­do i l vole­re degli dèi. Det­to in altre paro­le, il pen­sie­ro di Camil­lo è che non si potes­se con­ser­va­re la pax deo­rum al di fuo­ri del solo ambi­to loca­le (la Urbs Roma) adat­to a con­te­ne­re i riti e i sacri­fi­ci che ordi­na­ria­men­te assi­cu­ra­va­no al popo­lo roma­no la con­ser­va­zio­ne del­la pax deo­rum. Anzi nel­la par­te fina­le del testo, si con­fon­do­no volu­ta­men­te i luo­ghi con gli dèi ono­ra­ti in quei luo­ghi: Tito Livio, infat­ti, fa dire a Camil­lo che l’abbandono del sito di Roma cor­ri­spon­de­reb­be all’abbandono degli dèi roma­ni: “Vole­te abban­do­na­re, o Qui­ri­ti, tut­ti que­sti dèi, pub­bli­ci e pri­va­ti?”.

Tut­ta­via, que­sto impre­scin­di­bi­le lega­me tra dèi e la urbs Roma non deve far dimen­ti­ca­re, che la reli­gio­ne poli­tei­sta roma­na fu sem­pre carat­te­riz­za­ta da for­ti ten­sio­ni uni­ver­sa­li­sti­che e da costan­ti “aper­tu­re” cul­tua­li ver­so l’esterno.