CRITICA DELLA CRITICA

di RENATO DEL PONTE

estrat­to da “Dèi e Miti Ita­li­ci
del 2020
Edi­zio­ni Arŷa Genova 

IL FLAUTO DI FAUNO E GLI STORICI DELLE RELIGIONI

Il lavo­ro di sin­te­si a cui ci accin­gia­mo — sia­mo i pri­mi a rico­no­scer­lo — pre­sen­ta mol­ti limi­ti di con­te­nu­to e di meto­do, ma non — ci augu­ria­mo — di oscu­ri­tà: se mai, è sta­ta nostra inten­zio­ne lascia­re qual­che zona di chia­ro­scu­ro, in cui la luce fil­tran­te dall’alto, come nel­la penom­bra meri­dia­na di una radu­ra boschi­va, lasci intra­ve­de­re il vol­to sor­ri­den­te ed ambi­guo del dio suo­na­to­re di flauto.

Come moven­do­si da un sipa­rio di fron­de, Fau­no pare intro­dur­ci in un mon­do di cui ave­va­mo non tan­to per­du­to il ricor­do, quan­to la per­ce­zio­ne inte­rio­re: quel­lo del­le pre­sen­ze arche­ti­pi­che del­la nostra ter­ra. Pre­sen­ze e imma­gi­ni pri­mor­dia­li: alme­no nel­la misu­ra in cui la loro laten­za nel­l’in­con­scio col­let­ti­vo di una stir­pe signi­fi­ca pri­mor­dia­li­tà e nor­ma ori­gi­na­ria dell’organizzazione dell’essere imma­nen­te in una ter­ra e nei suoi abitanti.

Potreb­be for­se esse­re suf­fi­cien­te udi­re alcu­ne note del flau­to sil­va­no per far ride­sta­re le poten­zia­li­tà laten­ti del­le imma­gi­ni arche­ti­pi­che, per le qua­li non esi­ste né pas­sa­to né futu­ro, ma eter­no pre­sen­te, mul­ti­for­me immo­bi­li­tà di sostan­za meta­fi­si­ca e sacrale. 

Tut­ta­via, non basta voler udi­re il mes­sag­gio dell’eloquente dio del­le sel­ve: biso­gna veri­fi­car­ne la riso­nan­te melo­dia nel­la nostra espe­rien­za, risol­ver­la nel­la con­sa­pe­vo­lez­za del­la pre­sen­za epi­fa­ni­ca del divi­no nel mon­do, giun­gen­do cosi ad un inte­rio­re risve­glio, pre­lu­dio ad ogni buo­na ope­ra di reli­gio, in cui con­si­ste il dove­ro­so rispet­to ver­so il sacro.

Allo­ra miti, riti, sim­bo­li, for­me divi­ne e uma­ne, sto­ria sacra e sto­ria degli uomi­ni non appa­ri­ran­no disgiun­ti, ma come un con­ti­nuo suc­ce­der­si di iero­fa­nie, in cui il sacro si appa­le­sa e può esse­re deci­fra­to anche dall’uomo d’oggi.

A tale deci­fra­zio­ne si accin­ge la pre­sen­te ope­ra, la qua­le, al di là dei suoi limi­ti obiet­ti­vi, si avvia con un impul­so “posi­ti­vo” da par­te del­la per­so­na del suo auto­re: quel­lo di un’adesione inte­rio­re a quan­to ver­rà trat­tan­do, ade­sio­ne sin­ce­ra ma distac­ca­ta nel con­tem­po, qua­si fos­se frut­to di una matu­ra­ta, per­so­na­lis­si­ma expe­rien­tia religiosa.

Tut­ta­via non è il caso di allar­mar­si: con­tro ogni irra­zio­na­li­tà e diva­ga­zio­ne spi­ri­tua­li­sti­ca, nei limi­ti di una espo­si­zio­ne moder­na­men­te scien­ti­fi­ca di cui non si può non rico­no­sce­re la neces­si­tà — in pri­mo luo­go pro­prio nei con­fron­ti dei cosid­det­ti scien­ti­sti -, sia­mo con­vin­ti che l’ebbrezza pani­ca del flau­to di Fau­no pos­sa spo­sar­si con la fred­dez­za razio­ci­nan­te di Minerva.

“Occul­ta­men­to del divi­no”: ecco un con­cet­to caro a tut­ti i moder­ni sto­ri­ci del­le reli­gio­ni, ma per noi pri­vo di ogni signi­fi­ca­to. Pre­sup­po­ne, infat­ti, il celar­si (per qual­cu­no, addi­rit­tu­ra, la “mor­te”) di un qual­co­sa che potreb­be esse­re ride­sta­to in qual­sia­si momen­to, sep­pu­re non in qual­sia­si luogo.(1)

Tale quid divi­no è in noi e fuo­ri di noi: ne sia­mo com­pe­ne­tra­ti e cir­con­da­ti. Il divi­no — gli dèi — non è mai mor­to, dal momen­to che non ebbe in sor­te di nasce­re: esso è.

Non esi­ste una “sto­ria” degli dèi: può esi­ste­re una sto­ria del divi­no che si mani­fe­sta nel mon­do, che par­te­ci­pa del­la vita degli uomi­ni, degli ani­ma­li e del­le pian­te, che “pal­pi­ta” in loro e per loro, costi­tuen­do il vin­co­lo tra pas­sa­to e pre­sen­te che s’infutura nel doma­ni. Ciò che con­ta vera­men­te, pur essen­do invi­si­bi­le e ine­spri­mi­bi­le, è in real­tà il pre­sen­te — il ter­zo vol­to, quel­lo nasco­sto, di Gia­no — cioè la “pre­sen­za” degli dèi.

Com­pi­to degli uomi­ni è rias­su­me­re, rivi­ve­re, per­ce­pi­re il pas­sa­to in sin­to­nia con le pre­sen­ze arche­ti­pi­che imma­nen­ti in una data ter­ra e in una data stir­pe, inve­ran­do­le per il futu­ro: è quel­lo che si chia­ma pro­pria­men­te tradizione.

Sen­za que­sto pas­sa­to meta­fi­si­co, che anti­ci­pa, con­sa­cra, fa rea­le il pre­sen­te, non sareb­be pos­si­bi­le “sal­va­re” la quo­ti­dia­ni­tà, for­nen­do­le dei pre­ce­den­ti asso­lu­ti ogget­ti­va­men­te veri. Ora, qual è l’atteggiamento degli sto­ri­ci del­le reli­gio­ni nei con­fron­ti di que­sta “pre­sen­za” divi­na, sen­za la cui per­ce­zio­ne ogni ten­ta­ti­vo di pro­gres­so nel mon­do del sacro è del tut­to vano? In mol­ti di loro si mani­fe­sta un feno­me­no di riget­to, se non for­se di pani­co. Per il “feno­me­no­lo­go” Karol Keré­nyi, lo stu­dio­so unghe­re­se cui si deb­bo­no impor­tan­ti con­tri­bu­ti nell’ambito del mito gre­co, alme­no secon­do l’interpretazione del­la sua Intro­du­zio­ne all’Ein­fùh­rung in das Wesen der Mytho­lo­gie data dal suo segua­ce ita­lia­no Furio Jesi, non esi­ste­reb­be affat­to una sostan­za extrau­ma­na che si appa­le­si entro l’uomo e la sto­ria. Si giun­ge addi­rit­tu­ra a dire, para­dos­sal­men­te, che: “la scien­za del­la mito­lo­gia deve esclu­de­re la ‘scien­za del mito’… che offre vera­men­te e peri­co­lo­sa­men­te acces­so al mito di là dal­la mito­lo­gia, a un’essenza extrau­ma­na anzi­ché ai docu­men­ti di una espe­rien­za pura­men­te e intrin­se­ca­men­te uma­na”.(2)

Tut­ta­via il Keré­nyi deve one­sta­men­te chie­der­si: “Dove è però la sor­gen­te del­la mito­lo­gia? In noi? Sol­tan­to in noi? È que­sta sor­gen­te che va cer­ca­ta”.(3)

Per Furio Jesi, scrit­to­re poli­gra­fo e mul­ti­for­me, spes­so ten­den­zio­so ma sem­pre acu­to, scom­par­so in cir­co­stan­ze piut­to­sto miste­rio­se alcu­ni anni fa, sem­bra di capi­re che non si trat­ti tan­to di nega­re onto­lo­gi­ca­men­te l’essenza del mito stes­so, quan­to di “pre­di­spor­re le dife­se” in vista di una sua pro­ba­bi­le esi­sten­za — che anch’egli intui­sce — e del­le sue logi­che conseguenze,(4) da lui nel suo inti­mo temu­te: “L’unica, dispo­ni­bi­le oggi, ‘scien­za del­la mito­lo­gia’ è scien­za legit­ti­ma nel­la misu­ra in cui esclu­de dal suo ambi­to l’essenza del mito e fun­ge da cri­ti­ca ver­so gli apprez­za­men­ti pre­sun­ti dell’essenza (-sostan­za) del mito. Ciò che si può oggi stu­dia­re è il fun­zio­na­men­to del­la ‘mac­chi­na mito­lo­gi­ca’, non la sua neces­si­tà, né la sua essen­za con­giun­ta con l’essenza del­la sostan­za in cui potreb­be tro­var­si il suo pri­mo moto­re, il suo sen­so onto­lo­gi­co asso­lu­to: il mito in sé e per sé”.(5)


NOTE

1) A que­sto pun­to ci sem­bra di sen­ti­re il teo­lo­go: “Come?” — egli direb­be — “se Dio, o un dio, esi­ste, non potreb­be Egli mani­fe­star­si in qua­lun­que luo­go? Non è Egli onni­pre­sen­te ed onni­scen­te?”. Ecco un pri­mo cam­bia­men­to di pro­spet­ti­va neces­sa­rio: la nostra ricer­ca attra­ver­so la reli­gio­si­tà ita­li­ca dovrà abi­tuar­ci ad acqui­sta­re un’ot­ti­ca ben diver­sa, quel­la secon­do cui cuius regio, eius deus. Ogni luo­go può e non può mani­fe­star­si sede di pre­sen­ze divi­ne: in ogni caso, il divi­no si mani­fe­sta in misu­ra dif­fe­ren­te nei diver­si luo­ghi del­la ter­ra. In ciò con­si­ste appun­to la scien­za del­la cosid­det­ta “geo­gra­fia sacra”.

2) F. JESI, Il mito, Mila­no 1973, p. 83.

3) K. KERÉNYI, Intro­du­zio­ne a Pro­le­go­me­ni allo stu­dio scien­ti­fi­co del­la mito­lo­gia (con C.G. Jung), Borin­ghie­ri, Tori­no 1972, p. 17.

4) Cfr. F. JESI, K. Keré­nyi: i “pen­sie­ri segre­ti” del mito­lo­go, in “Comu­ni­tà” n. 171 (dicem­bre 1973), con biblio­gra­fia; ID., Il mito, cit, pp. 80–81.

5) F. JESI, Dumé­zil e la “fran­gia di ultra-sto­ria”, intro­duz. all’ed. ital. di G. DUMÉZIL, Ven­tu­ra e sven­tu­ra del guer­rie­ro, Rosen­berg & Sel­lier, Tori­no 1974, p. XXIV.