DANTE ESOTERICO

di PIETRO DI VONA.

Estrat­to da “Arthos” (pagi­ne di testi­mo­nian­za tra­di­zio­na­le).
N° 24 del 2016.
Edi­zio­ni Arŷa Genova.

Le inter­pre­ta­zio­ni eso­te­ri­che di Dan­te del nostro tem­po han­no un faci­le appog­gio in quel­la dovu­ta al medie­va­li­sta Bru­no Nar­di, per il qua­le Dan­te cre­det­te dav­ve­ro di ave­re visi­ta­to da vivo i regni dell’oltretomba.

Sen­za risa­li­re all’Ottocento, ci basti rife­ri­re le idee su Dan­te di alcu­ni eso­te­ri­sti ita­lia­ni e fran­ce­si del seco­lo scor­so che, secon­do noi, anche se discus­si, sono tra i più degni di considerazione.

Comin­cia­mo da Julius Evo­la, il cui rap­por­to con Dan­te è sta­to ogget­to del libro di Con­so­la­to. Anche se per que­sti Dan­te è tra i pochis­si­mi nomi dell’Italia poste­rio­re a Roma, cui Evo­la fac­cia rife­ri­men­to, biso­gna pur dire che, per lui, ebbe una mino­re impor­tan­za per la costi­tu­zio­ne del suo pen­sie­ro. Evo­la rive­la il ghi­bel­li­ni­smo di Dan­te, ma osser­va che il poe­ta ita­lia­no con­ser­vò il dua­li­smo tra vita atti­va e con­tem­pla­ti­va, e tra Impe­ro e Chie­sa, e rima­se un cri­stia­no con­tem­pla­ti­vo fede­le alla tra­di­zio­ne cat­to­li­ca. Dan­te cer­cò di innal­zar­la ad un pia­no ini­zia­ti­co, ma non ebbe un col­le­ga­men­to con i rap­pre­sen­tan­ti di tra­di­zio­ni ante­rio­ri e supe­rio­ri al Cri­stia­ne­si­mo. Gué­non , inve­ce, cre­de­va che Dan­te aves­se un’iniziazione effet­ti­va che lo col­le­ga­va con Pita­go­ra e con Vir­gi­lio, e col Reghi­ni pen­sa­va che, in Ita­lia, la cate­na del­la tra­di­zio­ne non si fos­se mai spez­za­ta. Per Evo­la, il limi­te di Dan­te fu la sua fede cri­stia­na e cat­to­li­ca. Vice­ver­sa, per Artu­ro Reghi­ni, Dan­te fu un ini­zia­to, un ghi­bel­li­no ed un paga­no. Evo­la riten­ne che la fede cri­stia­na e cat­to­li­ca limi­tas­se l’iniziazione di Dan­te, ed anche la sua con­ce­zio­ne dell’Impero che ven­ne subor­di­na­ta all’autorità spi­ri­tua­le del­la Chie­sa. Gué­non non accet­tò mai le con­ce­zio­ni impe­ria­li di Evo­la, anche se, in epo­ca poste­rio­re ad Impe­ria­li­smo paga­no, rico­nob­be ai riti guer­rie­ri roma­ni un carat­te­re teur­gi­co che tra­sfor­ma­va la bat­ta­glia in sacrificio.

Tra gli ade­ren­ti al pen­sie­ro, det­to tra­di­zio­na­le, nel seco­lo XX, l’antitesi di Evo­la fu il suo ami­co Gui­do De Gior­gio. Que­sti, nel­la Divi­na Com­me­dia, vede un vero poe­ma sacro che, per lui, è costi­tui­to da rit­mi che sono vei­co­li di tra­smis­sio­ne e di rea­liz­za­zio­ne ini­zia­ti­ca. L’opera di Dan­te, a suo avvi­so, è l’espressione più alta, for­se uni­ca, del­la tra­di­zio­ne roma­na. Pur ripren­den­do dal­la Monar­chia dan­te­sca l’idea medie­va­le e dan­te­sca di Roma, De Gior­gio, pro­prio per la con­ce­zio­ne che ebbe del­la Com­me­dia e dell’opera di Dan­te, repu­tò effi­ca­ci, anche per il nostro tem­po, gli idea­li di Dan­te, e capa­ci di offri­re solu­zio­ni pure per esso. Secon­do De Gior­gio, diver­sa­men­te da altri tra­di­zio­na­li­sti del suo tem­po, in Roma c’è la sin­te­si viven­te del­la tra­di­zio­ne paga­na e del Cri­stia­ne­si­mo cat­to­li­co. Dan­te è colui che di quest’unione ha tra­smes­so nel suo poe­ma i valo­ri ed i signi­fi­ca­ti rea­liz­za­to­ri ed ini­zia­ti­ci. Per­ciò De Gior­gio vede in Roma lo Spi­ri­to di Dio, onde, per lui, chi nega Roma nega Dio.

René Gué­non, col Reghi­ni e col De Gior­gio, con­fe­ri­va un alto signi­fi­ca­to alle visio­ni spi­ri­tua­li e poli­ti­che di Dan­te. Se c’è una teo­ria poli­ti­ca gene­ra­le attri­bui­bi­le a Gué­non, que­sta si appog­gia sul­la Monar­chia di Dan­te che ne tra­du­ce l’universalismo dal cam­po meta­fi­si­co ed eso­te­ri­co nel cam­po poli­ti­co. A suo avvi­so, essa indi­ca i fini del­la vita uma­na, ed i mez­zi per con­se­guir­li. I fini: il ter­re­no e l’ultraterreno. I mez­zi: la filo­so­fia e la veri­tà rive­la­ta. Le auto­ri­tà pre­po­ste al loro con­se­gui­men­to: l’imperatore e il papa. Il man­te­ni­men­to del­la pace ter­re­na, affi­da­to all’imperatore, è la con­di­zio­ne per il con­se­gui­men­to di entram­bi i fini del­la vita uma­na. Gué­non repu­ta­va che la distin­zio­ne dei due fini uma­ni, fat­ta da Dan­te, cor­ri­spon­des­se alla distin­zio­ne tra i pic­co­li ed i gran­di miste­ri, e per­ciò alle due ini­zia­zio­ni rega­le e sacer­do­ta­le. L’imperatore pre­sie­de ai pri­mi che por­ta­no al Para­di­so ter­re­stre, ed il Papa ai secon­di che sono sovran­na­tu­ra­li e al di là del mon­do mani­fe­sta­to. Per la sua con­di­zio­ne uma­na, l’uomo può con­se­gui­re sola­men­te il pri­mo che, per Dan­te, cor­ri­spon­de allo sta­to pri­mor­dia­le ada­mi­co. Secon­do Gué­non, que­sta dot­tri­na met­te in luce l’accordo di tut­te le tra­di­zio­ni d’Oriente e di Occi­den­te, e per­ciò può esse­re con­si­de­ra­ta una del­le prin­ci­pa­li fon­ti dell’idea tradizionale.

Gué­non cre­de di poter sta­bi­li­re altre cor­ri­spon­den­ze con la dot­tri­na espo­sta: i colo­ri alche­mi­ci, le chia­vi affi­da­te al Papa che in anti­co era­no le chia­vi di Gia­no, la navi­ga­zio­ne e la bar­ca che è la figu­ra del­la Chie­sa. Per Gué­non, que­sti sim­bo­li sono pro­ve del­la rego­la­ri­tà del Cat­to­li­ce­si­mo che lo fan­no risa­li­re alla tra­di­zio­ne pri­mor­dia­le. In que­sto giu­di­zio, Gué­non sarà segui­to da De Gior­gio, e infi­ne Gué­non pre­ten­de­rà di sta­bi­li­re una coin­ci­den­za tra que­sta dot­tri­na già espo­sta e quel­la del vedan­ti­no Sankara.

Venia­mo ora al testo di Con­so­la­to che con­fron­ta Evo­la con Dan­te. Per que­sto inter­pre­te, Dan­te è uno dei pochis­si­mi nomi dell’Italia poste­rio­re a Roma, cui Evo­la fa rife­ri­men­to nel­la sua ope­ra. Per Evo­la, Dan­te fu un model­lo, ma il suo inte­res­se per il poe­ta si esten­de­va alla sfe­ra spi­ri­tua­le, di cui rico­no­sce­va la dimen­sio­ne sovra­re­li­gio­sa ed eso­te­ri­co-ini­zia­ti­ca (p. 8).

Il libro con­sta di due par­ti. La pri­ma com­pren­de l’interpretazione di Con­so­la­to. La secon­da mostra come Evo­la ha uti­liz­za­to Dan­te. I pun­ti di vista dai qua­li Con­so­la­to con­si­de­ra il suo argo­men­to sono ben quat­tro. Il libro su Dan­te più cita­to è quel­lo di Lui­gi Val­li Il lin­guag­gio segre­to di Dan­te e dei “Fede­li d’Amore”, di cui Con­so­la­to ripor­ta anche la foto­gra­fia del­le varie edi­zio­ni alle pp. 10–11, accom­pa­gnan­do­le con nume­ro­se illu­stra­zio­ni uti­li e sug­ge­sti­ve. Seguen­do Reghi­ni e Val­li, Evo­la, per Con­so­la­to, era già con­vin­to in Impe­ria­li­smo paga­no che una tra­di­zio­ne eso­te­ri­ca si fos­se con­ser­va­ta in segre­to oltre l’avvento del Cri­stia­ne­si­mo in Ita­lia. Val­li fu apprez­za­tis­si­mo da Evo­la, per­ché, pur non essen­do un eso­te­ri­sta, ma uno stu­dio­so scien­ti­fi­co e cri­ti­co, ave­va indi­vi­dua­to in Dan­te e nei Fede­li d’Amore il loro aspet­to ghi­bel­li­no ed eso­te­ri­co, noto sola­men­te in ambien­ti chiu­si e ristret­ti (pp. 11–14). Val­li basa la sua inter­pre­ta­zio­ne più sul­la Vita nova e le Rime che sul­la Divi­na Com­me­dia, men­tre Evo­la ritie­ne che que­sta allu­da sem­pre alla stes­sa espe­rien­za iniziatica.

Dan­te fu socio dei Fede­li d’Amore, il cui eso­te­ri­smo risa­li­va ai Tem­pla­ri. Essi ado­ra­va­no la Sapien­za San­ta che, in Dan­te, assu­me la figu­ra misti­ca di Bea­tri­ce. Per Evo­la, que­sta è il sim­bo­lo del­la for­za sovran­na­tu­ra­le che per­met­te all’iniziato di anda­re da vivo a com­pie­re il viag­gio dan­te­sco. Per Con­so­la­to, a que­sto tema Evo­la dedi­cò i tre libri Il miste­ro del Graal, Lo Yoga del­la Poten­za, Meta­fi­si­ca del ses­so (pp. 14–19).

Evo­la coglie da Val­li l’idea che tut­te le don­ne can­ta­te dai Fede­li d’Amore e da Dan­te fos­se­ro tut­te la stes­sa don­na, la qua­le signi­fi­ca la Sapien­za San­ta e insie­me la dot­tri­na segre­ta dei Fede­li d’Amore e la loro orga­niz­za­zio­ne. In ter­mi­ni medie­va­li, sareb­be l’intelletto pos­si­bi­le che por­ta alla tra­scen­den­za dell’individuo. Evo­la ritie­ne di poter segui­re Val­li in due pun­ti: le poe­sie dei Fede­li d’Amore sono un car­teg­gio; la loro inter­pre­ta­zio­ne è simbolica.

Che Bea­tri­ce rap­pre­sen­tas­se un sim­bo­lo, una per­so­ni­fi­ca­zio­ne anche per l’ortodossia cat­to­li­ca, era già acqui­si­to dal­la dan­ti­sti­ca cor­ren­te. Ma, secon­do Evo­la, il pas­so ulte­rio­re era ricon­dur­re la Sapien­za San­ta ad una effet­ti­va espe­rien­za, come nei miste­ri anti­chi e nei riti segre­ti dei Tem­pla­ri. Nei Fede­li d’Amore e in Dan­te biso­gna rico­no­sce­re nel­la don­na l’effettiva dimen­sio­ne ero­ti­ca nel­la rea­liz­za­zio­ne ini­zia­ti­ca (pp. 21–22). I fede­li d’Amore avreb­be­ro spe­ri­men­ta­to la pos­si­bi­li­tà di con­tat­ti a fini ini­zia­ti­ci col prin­ci­pio occul­to del­la fem­mi­ni­li­tà, sen­za che nul­la fac­cia sup­por­re un uso con­cre­to e ses­sua­le del­la don­na (pp. 21–22). In Bea­tri­ce, c’è la mani­fe­sta­zio­ne del­la don­na sopran­na­tu­ra­le. E tut­ta­via, in Jau­fré Rudel, la medi­ci­na per l’amore lon­ta­no è data solo dall’unione fisi­ca con una com­pa­gna desiderata.

Il miste­ro del Graal di Evo­la si pre­oc­cu­pò di defi­ni­re il rap­por­to di Dan­te e dei Fede­li d’Amore con la dimen­sio­ne più pro­fon­da del Ghi­bel­li­ni­smo, che fu l’Impero ghi­bel­li­no degli Hohen­stau­fen ed il Tem­pla­ri­smo come asce­ti­ca guer­rie­ra supe­ran­te la scis­sio­ne tra sacer­do­zio e atti­vi­tà guer­rie­ra (pp. 25–26). Attra­ver­so Dan­te ed i Fede­li d’Amore, nel Medioe­vo risor­ge il mito pagano.

In tal sen­so, per Evo­la, il Medioe­vo non è l’epoca del­la pie­na rea­liz­za­zio­ne del­la Cri­stia­ni­tà, come anche per Gué­non (p. 27). 

Per Evo­la, nel­la Divi­na Com­me­dia l’avventura dan­te­sca è stret­ta­men­te lega­ta al pro­ble­ma dell’Impero (p. 27). La distru­zio­ne dei Tem­pla­ri, secon­do Evo­la, fu inter­pre­ta­ta da Dan­te come il segno di una degra­da­zio­ne del­la rega­li­tà e del prin­ci­pio dell’autorità spi­ri­tua­le. Per Evo­la, il meri­to di Dan­te fu di aver fat­to la pro­fe­zia del Vel­tro e del DUX, inte­si come prin­ci­pio guer­rie­ro dell’autorità spi­ri­tua­le, e ven­di­ca­to­re del­la loro degra­da­zio­ne in rap­por­to alla tra­di­zio­ne pri­mor­dia­le (pp. 29–30).

L’opposizione di Evo­la alla Chie­sa fu sia poli­ti­ca sia spi­ri­tua­le, ed egli si dif­fe­ren­ziò da Dan­te, per­ché que­sti non giun­se mai a riven­di­ca­re all’Impero anche l’autorità spi­ri­tua­le (pp. 93–40).

Dopo aver inter­pre­ta­to il Dan­te di Evo­la, Con­so­la­to stu­dia l’utilizzazione meta­po­li­ti­ca fat­ta­ne da Evo­la. Egli ricon­du­ce a nobi­li pre­ce­den­ti, a Pla­to­ne ed a Dan­te il suo ten­ta­ti­vo di ripor­ta­re la civil­tà del pro­prio tem­po ad un ordi­ne sacra­le, gerar­chi­co ed ari­sto­cra­ti­co. Fin dai suoi albo­ri, Evo­la fu un pen­sa­to­re monar­chi­co e pose la monar­chia al cen­tro del suo idea­le di impe­ro e di civil­tà. Per lui, non il papa, ma l’imperatore è il pon­te tra cie­lo e ter­ra (pp. 48–50). Il limi­te di Dan­te è che il suo impe­ra­to­re non è quel­lo inte­rio­re, ma quel­lo mate­ria­le, ter­ri­to­ria­le e poli­ti­co (p. 50). Evo­la ebbe l’idea di un’Europa impe­ria­le, ret­ta da un ordi­ne asce­ti­co-guer­rie­ro. Nel secon­do dopo­guer­ra, per lui, la monar­chia è il pote­re anti­te­ti­co dell’O.N.U. Per rea­liz­za­re il sogno di un’unica auto­ri­tà mon­dia­le, è alla monar­chia di Dan­te che ci si dovreb­be rivol­ge­re (pp. 54–55).

Dan­te non è di aiu­to ad Evo­la nel­la con­si­de­ra­zio­ne del rap­por­to tra vita atti­va e con­tem­pla­ti­va (pp. 55–58).

In sin­te­si Dan­te ha dato ad Evo­la mag­gio­re evi­den­za per un Medioe­vo ghi­bel­li­no ed esoterico.

Ha por­ta­to ele­men­ti signi­fi­ca­ti­vi alla sua meta­fi­si­ca del ses­so. Ha dato auto­ri­tà e pre­sti­gio alla sua dot­tri­na meta­po­li­ti­ca, ed alla sua inter­pre­ta­zio­ne del­la sto­ria nazio­na­le ita­lia­na. Resta il fat­to che, per il radi­ca­li­smo spi­ri­tua­le e poli­ti­co di Evo­la, il ghi­bel­li­ni­smo di Dan­te fa trop­pe con­ces­sio­ni al papa­to; il suo ero­ti­smo fa trop­pe con­ces­sio­ni al Cri­stia­ne­si­mo; “il suo eros ini­zia­ti­co si fer­ma al di qua dell’amplesso sacro”; la sua vita atti­va si subor­di­na alla vita con­tem­pla­ti­va inve­ce di fon­der­si con essa (p.77). Dan­te fu usa­to da Evo­la anche per comu­ni­ca­re i pro­pri idea­li alla socie­tà italiana.

Aggiun­ge­re­mo poche cose al sag­gio sug­ge­sti­vo di Con­so­la­to, chie­dia­mo­ci qual è il fine che Dan­te si pro­po­ne con la sua Divi­na com­me­dia. La rispo­sta per noi è faci­le, anche se rico­no­scia­mo volen­tie­ri che essa è ben cela­ta nell’Inferno e non la si tro­va nel Para­di­so, ed è data inol­tre con un rife­ri­men­to ad un mito paga­no, e non in for­ma cri­stia­na. Nel can­to II dell’Inferno, rivol­gen­do­si a Vir­gi­lio, nei ver­si 15–18 egli dice: “tu dici che di Sil­vio il paren­te cor­rut­ti­bi­le anco­ra ad immor­ta­le seco­lo andò, e fu sensibilmente”.

Per noi, que­sto fu il fine di Dan­te nell’accingersi al suo viag­gio sacro: l’andare anco­ra da vivo “ad immor­ta­le seco­lo”. Il fine era ini­zia­ti­co, e cer­ta­men­te non è dif­fi­ci­le ritro­var­lo in altre cul­tu­re diver­se dal Cri­stia­ne­si­mo. Fu il fine anche dei Fede­li d’Amore? Que­sto è un com­pi­to che affi­dia­mo alla cri­ti­ca dan­te­sca con tut­ti i pro­ble­mi che esso implica.