L’OCCULTAMENTO E LA CUSTODIA DEI SACRI ARREDI

di TITO LIVIO PATAVINO

estrat­to da “Hic Mane­bi­mus Opti­me!
a cura di Rena­to Del Pon­te
Otto­bre 2015 — Edi­zio­ni Arŷa  Genova



Nel frat­tem­po il fla­mi­ne Quirinale(1) e le ver­gi­ni Vesta­li, tra­la­scia­ta la cura del­le cose per­so­na­li, con­sul­tan­do­si su qua­li arre­di sacri doves­se­ro por­ta­re con sé e qua­li doves­se­ro lascia­re (dal momen­to che non c’e­ra­no le for­ze per por­ta­re tut­to), e qua­le fos­se il luo­go desti­na­to a con­ser­var­li in sicu­ra custo­dia, riten­ne­ro la scel­ta miglio­re che fos­se­ro sep­pel­li­ti rin­chiu­si in pic­co­li reci­pien­ti (dolio­la) in un sacel­lo nei pres­si del­la dimo­ra del fla­mi­ne Qui­ri­na­le, lì dove ora è divie­to reli­gio­so sputare;(2) divi­so tra loro il cari­co degli altri oggetti,(3) lo tra­spor­ta­ro­no per la via che con­du­ce attra­ver­so il pon­te Subli­cio al Gia­ni­co­lo. Su quel­la sali­ta aven­do­le viste il ple­beo Lucio Albi­nio men­tre tra­spor­ta­va su un car­ro la moglie e i figli in mez­zo alla fol­la che, non abi­le alle armi, usci­va dal­la cit­tà, rispet­ta­ta anche in quel fran­gen­te la distin­zio­ne fra le cose divi­ne e le uma­ne, rite­nen­do sacri­le­go che le pub­bli­che sacer­do­tes­se pro­ce­des­se­ro a pie­di recan­do i sacri arre­di del popo­lo roma­no e che lui e i suoi fami­glia­ri potes­se­ro esse­re visti su un mez­zo di tra­spor­to, fece scen­de­re la moglie e i ragaz­zi e pose sul car­ro le ver­gi­ni ed i sacri arre­di e li tra­spor­tò a Cere, dove era­no diret­te le sacerdotesse.

Fla­men inte­rim Qui­ri­na­lis vir­gi­ne­sque Vesta­les, omis­sa rerum sua­rum cura, quae sacro­rum secum feren­da, quae, quia vires ad omnia feren­da dee­rant, relin­quen­da essent con­sul­tan­tes, qui­sve ea locus fìde­li adser­va­tu­rus custo­dia esset, opti­mum ducunt con­di­ta in dolio­lis sacel­lo pro­xi­mo aedi­bus fla­mi­nis Qui­ri­na­lis, ubi nunc despui reli­gio est, defo­de­re; cete­ra inter se one­re par­ti­to ferunt via quae subli­cio pon­te ducit ad Iani­cu­lum. In eo cli­vo eas cum L. Albi­nius, de ple­be [Roma­na] homo, con­spe­xis­set plau­stro coniu­gem ac libe­ros ave­hens inter cete­ram tur­bam quae inu­ti­lis bel­lo urbe exce­de­bat, sal­vo etiam tum discri­mi­ne divi­na­rum huma­na­rum­que rerum, reli­gio­sum ratus sacer­do­tes publi­cas sacra­que popu­li Roma­ni pedi­bus ire fer­ri­que, se ac suos in vehi­cu­lo con­spi­ci, descen­de­re uxo­rem ac pue­ros ius­sit, vir­gi­nes sacra­que in plau­strum impo­suit et Cae­re, quo iter sacer­do­ti­bus erat, pervexit.


NOTE

1) Sal­vo un’ec­ce­zio­ne, non ci risul­ta che nes­su­no stu­dio­so del­la reli­gio­ne roma­na abbia appro­fon­di­to il pro­ble­ma del moti­vo per cui pro­prio al fla­mi­ne Qui­ri­na­le fos­se sta­to affi­da­to l’in­ca­ri­co di occul­ta­re e met­te­re in sal­vo i sacri arre­di (per le Vesta­li la cosa si com­pren­de meglio). L’ec­ce­zio­ne è costi­tui­ta da Filip­po Coa­rel­li, che nel suo Foro Roma­no, vol. I, cit., pp. 282–298, si dif­fon­de sui Dolio­la (vedi nota seguen­te). Nel­la sua inter­pre­ta­zio­ne i cul­ti offi­cia­ti dal fla­mi­ne Quri­na­le avreb­be­ro tut­ti “carat­te­ri­sti­che ‘cto­nie’ e ‘fune­ra­rie’ ” (si trat­ta di cul­ti cele­bra­ti alle Qui­ri­na­lia, Laren­ta­lia, Con­sua­lia e Robi­ga­lia). A nostro giu­di­zio, “cto­nio” non neces­sa­ria­men­te può o deve rife­rir­si a “fune­ra­rio”, anche se cer­ti risul­ta­ti archeo­lo­gi­ci del sito da lui iden­ti­fi­ca­to come Dolio­la nel Foro potreb­be­ro con­fer­mar­lo (vedi sem­pre nota seguen­te). Nel caso spe­ci­fi­co il fla­mi­ne qui agi­sce come sacer­do­te del dio “patro­no degli uomi­ni con­si­de­ra­ti nel­la loro tota­li­tà orga­ni­ca e veglia sul­la sus­si­sten­za, il benes­se­re, la dura­ta del­la mas­sa cit­ta­di­na con­si­de­ra­ta nel­la sua glo­ba­li­tà” (DEL PONTE, RR, p. 170; vedi anche DEL PONTE, FL, pp. 78–79). Que­sto fla­mi­ne dispo­ne inol­tre di una capa­ci­tà di movi­men­to che sap­pia­mo non con­ce­pi­bi­le per il fla­mi­ne di Gio­ve, il qua­le si pre­su­me si fos­se rifu­gia­to, in que­sto fran­gen­te, sul Cam­pi­do­glio (dove pro­ba­bil­men­te era anche il fla­mi­ne di Mar­te, la cui pre­sen­za su quel col­le – ulti­mo ridot­to del­la resi­sten­za roma­na – sareb­be sta­ta neces­sa­ria in vista del­le ope­ra­zio­ni con­tro i Galli. 

2) Tra le fon­ti cir­ca que­sto divie­to e i Dolio­la c’è anche FEST. (PAUL.), p. 60 L. (che ripor­ta le stes­se cose di Livio) e VARR., L.L. 5, 157, che affer­ma inve­ce: “Due sono le ver­sio­ni su di essi (i Dolio­la) tra­man­da­te: secon­do alcu­ni dove­va­no con­te­ne­re ossa uma­ne, secon­do altri, ogget­ti sacri appar­te­nen­ti a Numa Pom­pi­lio e ivi inter­ra­ti dopo la sua mor­te”. Su que­sta base e sul fat­to che gli sca­vi del Boni nel Foro nel­la zona del cosid­det­to equus Domi­tia­ni mise­ro alla luce un grup­po di cin­que vasi arcai­ci per­fet­ta­men­te con­ser­va­ti in una teca di tra­ver­ti­no e risa­len­ti al secon­do quar­to del VII sec. a.C. e, infi­ne, a cir­ca 6 metri di pro­fon­di­tà, due sche­le­tri immer­si nel­l’ar­gil­la (di una gio­vi­net­ta con un feto di tre mesi e di un gio­va­ne di 25–30 anni), il Coa­rel­li ha potu­to par­la­re di resti di un sacri­fi­cio uma­no avve­nu­to in epo­ca arcai­ca. Per lui “i Dolio­la… non sareb­be­ro altro che il monu­men­to com­me­mo­ra­ti­vo, l’he­roon col­let­ti­vo lega­to alla cele­bra­zio­ne… di sacri­fi­ci uma­ni offer­ti alle divi­ni­tà infe­re del vici­no Vela­bro”. In quan­to ai vasi arcai­ci, essi costi­tui­reb­be­ro “in un cer­to sen­so, il cor­re­do del­le per­so­ne sacri­fi­ca­te nel­le imme­dia­te vici­nan­ze” (p. 298). Cer­ta­men­te, tut­ta la que­stio­ne pre­sen­ta lati oscu­ri e non può esse­re risol­ta con faci­li­tà, vista anche la con­trad­di­to­rie­tà del­le fon­ti. Tut­ta­via, al di là del­la rico­stru­zio­ne indub­bia­men­te sug­ge­sti­va del Coa­rel­li, nel con­te­sto rife­ri­to all’in­va­sio­ne gal­li­ca ci appa­re pre­fe­ri­bi­le acco­glie­re la ver­sio­ne di Livio (e di Festo), che appun­to resti­tui­sce al fla­mi­nes Qui­ri­na­le la sua fun­zio­ne “prov­vi­den­zia­le” per la comu­ni­tà dei Qui­ri­ti, cioé di tut­ti i cit­ta­di­ni opti­mo iure. Inol­tre, in rela­zio­ne al grup­po di vasi arcai­ci, al cui inter­no fu tro­va­ta una pepi­ta d’o­ro e sca­glie di tar­ta­ru­ga, non so pro­prio come si pos­sa defi­nir­li “cor­re­do del­le per­so­ne sacri­fi­ca­te”, dal momen­to che la pre­sen­za del­la pepi­ta d’o­ro e del­le sca­glie di tar­ta­ru­ga riman­da ad un’of­fer­ta pri­ma­zia­le ad una divi­ni­tà impor­tan­te. L’o­ro nati­vo e la tar­ta­ru­ga fan­no pen­sa­re al mon­do del­le ori­gi­ni e alla sfe­ra del­le acque (sia­mo nei pres­si del Vela­bro e del Lacus Cur­tius), sfe­ra in cui si sa come si fos­se mos­so a suo agio re Numa Pom­pi­lio a cui, come si è visto, riman­da la cita­zio­ne pre­ce­den­te­men­te fat­ta da Var­ro­ne: mi rife­ri­sco al rap­por­to di que­sto re-scia­ma­no con la nin­fa Ege­ria e alle sue capa­ci­tà di divi­na­zio­ne tra­mi­te l’e­le­men­to acqua­ti­co (idro­man­zia). Cfr. DEL PONTE, FL, pp. 24–30. Aggiun­go che la regia di Numa si tro­va­va nei pres­si e adia­cen­te la casa del­le Vesta­li. Inol­tre, secon­do inda­gi­ni più recen­ti (2006), i due sche­le­tri rin­ve­nu­ti a 6 metri di pro­fon­di­tà, sul­la base di data­zio­ne radio­car­bo­ni­ca, potreb­be­ro appar­te­ne­re ad un’e­po­ca assai arcai­ca e di gran lun­ga ante­ce­den­te la fon­da­zio­ne del­la cit­tà (XII‑X seco­lo a.C. — età del Bron­zo Recen­te-Fina­le). In tal caso (se effet­ti­va­men­te pro­va­to) sareb­be da esclu­de­re l’i­po­te­si del sup­pli­zio di una vesta­le infe­de­le e del suo aman­te (come qual­cu­no ha det­to), sep­pel­li­ti insie­me in un’e­po­ca ante­ce­den­te al ritua­le pre­scrit­to dal pri­mo Tarquinio. 

3) Ci si rife­ri­sce, con tut­ta evi­den­za, agli ogget­ti sacri custo­di­ti nel tem­pio di Vesta, fra cui un fasci­nus, e soprat­tut­to al famo­so Pal­la­dio di Tro­ia, il qua­le, custo­di­to nel­la par­te più recon­di­ta del tem­pio, pote­va esse­re avvi­ci­na­to solo dal­la vir­go Vesta­lis Maxi­ma: cer­ta­men­te esso fu reca­to dal­le Vesta­li a Cere. Su Pal­la­dio si veda­no: M. BAISTROCCHI, Arca­na Urbis, Roma 20092, pp. 312–314 e A. PELLIZZARI, Ser­vio, Firen­ze 2003, pp. 49–60.